FOTO: ALBERTO LUCA RECCHI
A tu per tu con Alberto Luca Recchi: esploratore e fotografo subacqueo, ha organizzato le prime spedizioni nel Mediterraneo alla ricerca di squali e balene. Scrittore e divulgatore generoso, spesso in collaborazione con Piero e Alberto Angela, rivela le meraviglie del Mare sensibilizzando le coscienze attraverso racconti e immagini spettacolari.
MC. In questo periodo il mare ha finalmente avuto una pausa dalle invasioni smodate dell’uomo. Gli animali sembrano in festa… li vediamo avvicinarsi e a volte “esplorare“ la loro casa, un po’ increduli di fronte a tanta tranquillità…e finalmente, invece di squali spiaggiati con reti e plastiche nelle pance, vediamo delfini saltare nei golfi, verdesche avvicinarsi indisturbate alle coste, fondali marini migliorati…eppure siamo chiusi solo da due mesi! Il mare dunque può riprendersi secondo te? Cosa può fare ognuno di noi per contribuire al miglioramento del mare oltre che evitare di creare ulteriori danni?
AL. Per il mare questo momento è sicuramente una benedizione perché la pesca ha rallentato, i cargo sono nei porti, molte petroliere sono alla fonda e le navi da crociera sono ferme. Quindi una situazione nuova per gli animali che vivono oggi nelle acque dei mari di tutto il mondo: un periodo di silenzio che non hanno mai vissuto nell’ultimo secolo, come del resto non lo abbiamo mai vissuto neanche noi. Spesso pensiamo al mare come ad un ambiente silenzioso mentre invece è molto più rumoroso di quello che conosciamo noi della terraferma, perché in mare i suoni viaggiano 5 volte più veloci che nell’aria e vanno molto più lontano; e come ogni subacqueo sa, quando sta sott’acqua e trattiene il respiro sente un’orchestra: i pesci che sgranocchiano il corallo, i gamberetti che sbattono le chele, i delfini che lanciano i click, le balene che cantano e sono in comunicazione tra di loro… è un’orchestra jazz perché ognuno va per conto suo, però è molto melodiosa. Poi ci sono anche dei suonatori poco gradevoli e poco graditi che siamo noi, con le eliche, le trivellazioni, i test militari, i generatori. Noi ci siamo “spenti” da un paio di mesi e per il mare, come dicevo all’inizio, è una benedizione perché basta lasciarlo riposare e si riprende. Ma poi? Tra un po’ tornerà tutto come prima, e allora che succederà? Potrebbe essere questa l’occasione per ripensare il modo in cui viviamo il nostro ambiente, una possibilità di riflessione collettiva cui ognuno può dare le sue risposte.
MC. Il mare è natura, e come tale è fonte di benessere. Io mi sento meglio già solo a guardarlo, non oso immaginare a viverlo come fai tu. Cosa provi durante un’immersione, e come la vivi dopo… cosa ti rimane una volta uscito dall’acqua?
AL. Per me il mare è la vita; infatti quando non sono andato sott’acqua per un periodo lunghissimo di circa 2000 giorni ho rischiato di ammalarmi! Vado sott’acqua da più di trent’anni e ci sono sempre andato con la macchina fotografica o con la macchina da ripresa, quindi di fatto la vivo in modo piuttosto bizzarro perché sono concentrato su quello che sto facendo; forse un modo poco “sano”, se vuoi, che non consiglierei ad un giovane, ad un figlio, ad un amico. Sono molto impegnato a scattare delle belle immagini, a mettere insieme tecnica e subacquea, e spesso non godo di quello che offre la situazione. Quando però esco dall’acqua, oltre ai ricordi ho anche le immagini che prolungano le sensazioni, il viaggio. E vedere un filmato mi fa rivivere le stesse emozioni.
MC. Sono fermamente convinta che la felicità non sia davvero tale fin quando non la condividi. Sono certa che quando ti immergi provi delle emozioni molto forti. In che modo riesci a trasmetterle? E se riesci a farlo davvero fino in fondo.
AL. Questa è la ragione per cui ho cominciato a far conoscere le mie foto: per cercare di far vivere le stesse esperienze, le stesse emozioni – anche talvolta intrise di un qualche brivido – al maggior numero di persone possibile, tenendole all’asciutto e al sicuro, magari facendo incontrare loro un squalo stando seduti sulla poltrona di casa. Quando hai il privilegio di vivere certe situazioni non puoi tenerle per te.
MC. Ci saranno stati dei momenti in cui per una ferita, una disavventura, o per lo stato del mare in progressivo peggioramento, o anche semplicemente per stanchezza, ti sia passata un po’ la voglia… gli stimoli sono sempre molto importanti. Tu come li ritrovi di volta in volta per tenere viva la tua passione?
AL. Non ho voglia ogni volta che vado in acque gelide, specie di notte; quindi lì devo essere molto motivato da quello che vado ad incontrare; infatti in situazioni del genere vado o perché sono posti straordinari – come il Canada o l’Alaska – perché poi sono ripagato dalla meraviglia di quello che trovo sotto, oppure perché cerco animali spettacolari tipo l’orca che in genere si incontra in acque fredde.
MC. Dopo aver provato emozioni così forti come quelle di stare accanto ad una balena, ad un capodoglio o dell’adrenalina di essere a tu per tu con uno squalo, un mix immagino di brividi di piacere e di paura, come fai a vivere emozioni altrettanto forti a livello umano con i piedi fuori dall’acqua?
AL. E’ durissima perché la soglia di adrenalina si alza. D’altronde il mio ricordo più emozionante riguarda qualcosa che ho vissuto fuori dall’acqua ed è quando sono nate le mie figlie. Per fortuna le paure e le emozioni negative invece si dimenticano più facilmente perché siamo portati a seppellirle per non soffrire. La vita di tutti i giorni può essere meravigliosa anche senza incontrare una balena – quella è una cosa spettacolare! – ma ognuno di noi a guardarlo, a conoscerlo, a parlargli è più interessante; certo però richiede più fatica, e costringe ad essere un po’ più profondi. Diciamo che questo periodo di clausura mi ha costretto a fare delle “immersioni” diverse… dentro me stesso, e sono andato a vedere e trovare delle cose che forse non avevo mai voluto cercare.
MC. Parliamo di “confort zone”, la nostra zona di confort. E’quella dove molti di noi si rifugiano ma forse per troppo tempo, mentre invece deve essere solo il posto in cui ricaricarci, perché è l’ignoto invece il luogo in cui abitano i sogni e la magia avviene lì. Per farlo, però, bisogna rischiare e a volte convivere con la paura. Ma respingerla significherebbe rinunciare, mentre viverla al pari delle altre emozioni ci può trasportare in avventure incredibili. Credo che solo uscendo dalla zona di confort si possa crescere ed evolversi, mentre vivendo troppo all’interno di essa si perda una buona parte di noi. Qual’ è il tuo rapporto con la paura, con il rischio, con la zona di confort?
AL. Credo che tutti noi dentro siamo esploratori, poi c’è chi supera più facilmente la sua zona di confort e chi ci rimane. Sono attratto dall’ignoto, sono sicuramente predisposto al rischio; d’altronde se non si ha il coraggio di lasciare la spiaggia non si scopriranno mai nuovi orizzonti. Però, contemporaneamente, mentre ne sono particolarmente affascinato sono anche molto consapevole che di vita ce n’è una sola; quindi non sono spavaldo né spericolato, anzi sono pauroso anche in mare, e quindi prudente. Il mio rapporto con la paura è di estremo rispetto, perché il coraggio non mi ha mai salvato la vita, ma la paura tante volte! Quindi il mio suggerimento è di seguirla la paura – non necessariamente di vincerla – ma quella motivata, quella dei rischi concreti; sono molto svizzero quando vado sott’acqua, sono molto attento. Temo che mi passino sopra con l’elica, che mi perdano in mezzo al mare, di impigliarmi in una rete o di fare un errore quando do da mangiare agli squali, ma non il fatto che ci siano – non li considero così pericolosi – perché hanno di meglio di cui cibarsi.
MC. Quale perdita tra gli animali marini a rischio potrebbe essere un vero danno per l’ecosistema marino e quindi nostro?
AL. Più perdiamo animali di vertice, perché sono di meno, più si rischia. Però ogni scomparsa di una specie crea delle ricadute enormi che non siamo in grado di prevedere, ma siamo solo in grado di verificare dopo che è avvenuto. La nostra casa funziona così com’è tutta assieme. Se si comincia a togliere un pezzo di legno poi inizia ad entrare dentro uno spiffero, poi si accenderà il camino per riscaldare l’ambiente, si annerirà il soffitto, verrà giù un infisso, fino a che cadrà giù tutto il tetto. Ma noi non ce ne accorgiamo che un po’ per volta. Dobbiamo utilizzare il “principio di precauzione”, cioè non fare ciò che non sappiamo quali effetti avrà su quello che è il nostro unico Pianeta.
MC. E’ chiaro che non possiamo vivere senza il mare, ma nel pratico cosa succederà giorno dopo giorno ma mano che lo distruggiamo se non ci fermiamo? Quali sarebbero le conseguenze effettive nella nostra vita di tutti i giorni?
AL. Il mare ci dà sostanzialmente tre grandi doni: mitiga il clima, e questo lo farebbe sia un mare in salute che un mare malato; però gli altri due sono legati soltanto ad un mare sano e sono l’assorbimento dell’anidride carbonica – perché noi emettiamo un’infinità di gas serra, molti più di quanti siano tollerati da un ambiente sano, come i combustibili fossili che bruciamo per le macchine, per le industrie, per il riscaldamento; e come l’allevamento, perché anche gli animali contribuiscono; i bovini e i ruminanti emettono infatti metano – e tutto questo va a finire nel mare che lo assorbe, lo purifica e ce lo restituisce sotto forma di ossigeno. Il mare è come una sorta di grande Foresta Amazzonica sommersa, e questa è una funzione importantissima. Infine ci sono tre miliardi di persone che vivono delle proteine che vengono dal mare, dalla pesca. Ci sono navi fattoria che stanno in mare per mesi, magari con l’aiuto di un piccolo aereo che individua i tonni, e che con enormi reti catturano tutto il branco, e arrivano a terra già con il prodotto finito. Madre Natura continua a fare le stesse uova e gli stessi figli di 100 anni fa, quindi penso che questo tipo di economia basata sull’uccisione industriale di animali selvatici sia arrivata ad un punto di non ritorno. Credo che dovremmo iniziare a considerare il mare solo come un’immensa riserva di meraviglie e non di cibo. Magari faremo l’agricoltura in mare coltivando piante alofite che sopportano l’acqua salata…!
MC. Quale sarà la tua prossima avventura, o comunque cosa ti piacerebbe fare? Qualcosa magari che non hai ancora fatto? E cosa ti spinge a scegliere la tua meta: la curiosità, il tipo di animali che vuoi incontrare, quale mare… e se poi la tua esplorazione continua con i piedi per terra nella cultura del popolo che ti ospita, o la passione è 100% mare e lì finisce?
AL. Quando non ho un progetto mi piace andare nei posti dove c’è l’acqua calda perché soffro il freddo. Sono ritornato in luoghi in cui sono stato trent’anni fa, ma sono rimasto molto deluso; sott’acqua non è più come prima, i fondali sono peggiorati, il riscaldamento dell’atmosfera ha fatto sì che i coralli sbiancassero e morissero; molti sono rovinati per eccesso di pesca e anche per eccesso di turismo: prima eravamo viaggiatori oggi siamo solo turisti, e c’è una grande differenza tra le due categorie! Se non ho progetti punto ad andare in mezzo al mare, molto lontano da centri turistici. Poi di fatto vivo con i locali, perché anche i pescatori lo sono, e la sera quando finisco ceno con loro.
MC. Immagino che tu abbia dovuto fare dei sacrifici in nome del mare e ti chiedo quali, e se c’è qualcosa a cui hai dovuto rinunciare in tutti questi anni o se te ne sei pentito qualche volta.
AL. Il sacrificio più grande è stato lasciare per molto tempo le mie figlie da sole, anche se forse lo rifarei per due ragioni: primo perché loro sono venute su splendidamente – magari anche grazie al fatto che non mi hanno avuto tra i piedi tutto il tempo!! – e poi perché faccio parte di una generazione unica e quindi privilegiata. Quella dei miei genitori, infatti, non aveva le attrezzature e quella delle mie figlie rischia di avere un mare senza pesci; quindi o lo vedevo in quegli anni il mare o non lo avrei visto più, e forse non so se lo avrei difeso con la stessa passione e con la stessa convinzione ed entusiasmo che ho oggi.
MC. Sarò un po’ pretenziosa ma sono certa che potrai accontentarmi…vorrei che mi raccontassi un incontro “inedito” con un abitante del mare, o che comunque non hai ancora raccontato…. anche con un animaletto piccolino ma qualcosa che ricordi con piacere, che ti ha colpito per tenerezza, bellezza, curiosità…
AL. Ti racconto un episodio che mi è capitato a Fregene ad ottobre: ho visto una bavosa sul bagnasciuga, del colore della sabbia, quasi invisibile; ho iniziato ad avvicinarmi molto lentamente, e quando se n’è accorta non è scappata, ma ha iniziato a roteare gli occhi; può farlo quasi a 360°, tranne che per un punto cieco; allora mi sono spostato per mettermi esattamente in verticale sulla sua coda; a quel punto non mi vedeva più e allora si è girata e si è messa di muso; io continuavo a girare e lei continuava a seguirmi con gli occhi, capendo che c’era un possibile predatore in giro; allora io mi nascondevo di nuovo dietro la sua coda e lei di nuovo si girava di muso; ho capito che girava quando io giravo. Abbiamo fatto questo balletto per 4, 5 volte disegnando una specie di cerchio sulla sabbia finché le persone mi hanno chiesto cosa stessi facendo…! Ho spiegato loro che stavo cercando di vedere come questi pesci di scoglio riescono a guardare all’indietro; tra l’altro hanno la caratteristica di essere dei “sub al contrario”: vivono in acqua, ma riescono a respirare anche fuori; si chiamano bavose proprio perché hanno una bava di muco intorno al corpo che le tiene umide e che permette loro di respirare. Abbiamo fatto questa giostra per una decina di minuti e poi ad un certo punto mi sono fermato. Volevo infatti vedere anche quanto resistesse in apnea “al contrario”: non sono passati 2 minuti che è scappata perché aveva bisogno di acqua. In mare non serve una balena per divertirsi…!